“Il cucchiaino scomparso e altre storie della tavola periodica degli elementi” di Sam Kean

Buongiorno a tutt*!

Oggi voglio parlarvi di un libro che straconsiglio a tutti, soprattutto a chi, per qualche ragione, si sta approcciando allo studio della chimica. Avrei voluto leggerlo una decina di anni fa ma pazienza.

Questo libro del 2010 ad opera dello scrittore statunitense Sam Kean è stato pubblicato in Italia da Adelphi. Si tratta di un saggio storico/scientifico di 382 pagine i cui protagonisti sono gli elementi della tavola periodica e gli aneddoti che gravitano intorno alla loro scoperta.

Trama

Al solito, trattandosi di un saggio non c’è una vera e propria trama. Con questo libro Kean introduce il lettore nel mondo della chimica e lo fa attraverso degli aneddoti divertenti e curiosi. Il libro è strutturato in maniera simile ad una raccolta di racconti in cui si parla degli elementi e di come questi abbiano influenzato la vita degli scienziati che l’hanno scoperta (sia in bene che in male).

Ci sono inoltre storie sulla nomenclatura o su usi particolari che si faceva di questi elementi prima di arrivare a conoscere

L’elemento che dà il titolo al libro è il Gallio.

In realtà questo è un aneddoto molto conosciuto: il Gallio, numero atomico 31, è un metallo che a temperatura ambiente e pressione atmosferica si presenta molto malleabile e di color argentato. Pensate che il suo punto di fusione è a 29,76°C. Questo vuol dire che se avessimo delle posate fatte di gallio, sarebbe impossibile utilizzarle d’estate (ma anche d’inverno, visto che in genere le pietanze cotte si trovano ad una temperatura superiore).

Proprio questa sua proprietà è frutto di un aneddoto piuttosto curioso. Questo metallo infatti alla vista potrebbe essere cofnuso con il ben più celebre Argento o con una serie di altri metalli dall’aspetto analogo. La leggenda del cucchiaino scomparso (dato che non si possono verificare le fonti, mi par più corretto chiamarla così) vuole che una volta scoperto il Gallio, gli scienziati iniziarono a sperimentare, e di fronte al suo basso punto di fusione pensarono bene di utilizzarlo per fare degli scherzetti ai loro ospiti: all’ora del tè, agli ospiti veniva dato un cucchiaino di Gallio che mentre i poveri ignari mescolavano lo zucchero, il cucchiaino scompariva nella loro tazza.

Diciamo che essendo il Gallio così sensibile alla temperatura, mi pare strano che nessuno si fosse mai accorto di nulla prima di mettere la stoviglia nel tè bollente, avrebbero dovuto notare che il metallo era piuttosto morbido. Ma congetture sulle reazioni di possibili ospiti morti prima ancora che nascesse il mio trisavolo a parte, il Gallio si comporta esattamente così:

Un’altra diceria riportata nel libro che mi ha fatto morire dal ridere è quella sul Molibdeno: numero atomico 42 il cui nome deriva dal termine Neo Latino molybdaenum che a sua volta si basa sul termine greco molybdos che letteralmente significa “Piombo“.

Insomma, tutto un intricato giro di termini per poi appioppare ad un elemento il nome che ne ricordava un altro. In realtà, la scelta del nome sta nel fatto che il Molibdeno ha un’aspetto esteriore molto simile al Piombo. Ma con proprietà ovviamente diverse.

Quando fu scoperto questo nuovo elemento, ci fu una corsa spericolata alle miniere per poterlo raccogliere. La “corsa al molibdeno” si portò dietro delle faide non indifferenti per il possesso della miniera. I minatori e chiunque avesse a che fare con loro rischiavano la morte.

La frustrazione dei minatori era talmente alta che chiamavano quell’elemento dal nome così complicato per cui rischiavano la vita “Molly be damned”.

Questo aneddoto potrebbe rientrare tra i più divertenti ma a mio avviso, nulla può battere l’acqua alle radiazioni. Diversamente dal cucchiaino di Gallio in cui non sappiamo se si tratti di semplici dicerie, la storia dell’acqua radioattiva è tutt’altro che una sciocca burla. No. Non sto parlando di acque contaminate da incidenti nucleari: nel 1912 un uomo di nome R.W. Thomas brevettò un dispositivo medico pseudoscientifico chiamato Radium ore Revigator.

Questo decanter di porcellana veniva venduto come dispositivo medico per la cura di artrite, flatulenza e senilità. In pratica si versava dell’acqua in questo dispositivo e la si lasciava a decantare durante la notte. All’interno del dispositivo l’acqua veniva irradiata con Radon (un elemento radioattivo) e si consigliava di berne dai sei agli otto bicchieri al giorno per essere più in salute.

La cosa più divertente è che alla fine della fiera, le radiazioni non rappresentavano il rischio peggiore nel consumare l’acqua irradiata. Nel liquido lasciato a decantare infatti sono state trovate tracce di Uranio, Vanadio, Arsenico e Piombo.

Insomma, una sorta di multivitaminico letale.

Una bella storia ce l’ha anche l’Argento: un famoso complottista infatti lo ingeriva convinto che fosse un antibatterico efficace (in un certo senso lo è, ma non ingerito a cucchiaiate). L’unico risultato che ottenne fu tuttavia un incarnato grigio che lo faceva somigliare ad uno zombie.

Insomma di aneddoti divertenti ce ne sono un pacco. Questi non sono altro che meri assaggi di quanto descritto all’interno del libro. Data la quantità inimaginabile di sorprese, potrete ben immaginare che avevo aspettative piuttosto alte per il caro vecchio Stronzio. Sì, lo so, le battute sullo Stronzio sono scontate come la birra al discount ma dopo “Molly be damned” sarete d’accordo anche voi che mi aspettavo qualche storiella divertente, tipo di un chimico italiano che si divertiva a chiamare i suoi colleghi statunitensi “stronzi” e quando ha scoperto l’elemento gli hanno appioppato un nome simile senza sapere in cosa incappavano invece…

Lo Stronzio deve il suo nome alla stronzite, un materiale chiamato così perché si trova nelle miniere della cittadina scozzese Strontian. Viene descritto come un materiale “tranquillo”, insomma, un povero stronzio. Vi riporto una descrizione che mi ha fatto molto ridere (perché sotto, sotto, ho il cervello di due anni):

Invece di approfittare dello stronzio e dei suoi vicini per trovare il modo in cui la materia è univrsalmente organizzata, i chimici dell’epoca […] iniziarono a vedere triadi dappertutto e a sconfinare nella numerologia.

Sam Kean

Ripeto: lo Stronzio è un povero stronzo.

Impressioni personali

Definire questa una delle letture più interessanti nella mia biblioteca è un eufemismo. Mi sono divertito molto ed ho scoperto un sacco di fatti interessanti.

Avrei voluto iniziare a leggere questo libro al primo anno di università: avrebbe reso lo studio più divertente.

A conti fatti però, mi sento di avvisare chi volesse intraprendere il viaggio tra gli elementi della tavola periodica che alcuni passaggi di questo libro possono risultare di difficile comprensione. Io stesso negli ultimi due capitoli, in cui si faceva riferimento alla fisica quantistica, mi sono ritrovato un po’ in confusione.

Tuttavia, se avete anche una minima base di chimica generale dategli un’occasione.

Riferimenti e fonti

Disclaimer

Il presente articolo non è stato in alcun modo sponsorizzato da autore/casa editrice/negozi, il libro è stato acquistato in via privata. I link presenti nel post sono a mero scopo referenziale e non rappresentano link di affiliazione.

L’autore non percepisce reddito dal presente blog.

“L’intestino felice” di Giulia Enders

Buongiorno a tutt*!

Dopo quell’obrobrio di sabato scorso, iniziamo la settimana all’insegna dei bei libri, della buona scienza e di un intestino spensierato!

Oggi voglio parlarvi della perla della gastroenterologa Giulia Enders. Si tratta di un libro edito da Feltrinelli che ho preso all’ipermercato con l’offerta “due libri a 9,90€” è facilmente reperibile praticamente ovunque.

Il libro

In questa sezione avrei dovuto inserire il titolo “Trama” ma per questo testo era una baggianata troppo grossa, il mio cervello mi ha imposto di sbattere la testa contro la parete.

Ho appena iniziato il post e subito, la mia attenzione si è focalizzata su di un organo in particolare: il cervello.

A ben pensare, a parte le pubblicità dei prodotti contro la stitichezza o antidiarroici, gli organi che fanno da padroni nelle narrazioni, siano esse degli articoli di gossip o brillante letteratura sono essenzialmente due: cuore e cervello.

Eppure esiste un altro organo egualmente fondamentale sia dal punto di vista fisiologico che psicosomatico. Si tratta di un organo lungo e ripiegato su se stesso, pieno di terminazioni nervose, villi e microrganismi.

In questo libro, la dottoressa Enders ci accompagna in un leggiadro viaggio attraverso il nostro tratto gastro-intestinale con particolare attenzione, appunto, all’intestino.

Il libro inizia con la descrizione abbastanza dettagliata di ciò che succede agli alimenti una volta che vengono ingeriti, dalla bocca fino ad arrivare ai due sfinteri anali (ebbene, sì: due!).

Si parla di feci, di come la loro forma, colore e consistenza siano indici non solo della nostra dieta ma anche del nostro status di salute.

Vengono trattati temi come la costipazione ed il reflusso gastrico (che pare essere una cosa più fastidiosa di quanto non immaginassi).

La parte più interessante è quella legata al microbiota intestinale dove viene illustrato quanto queste colonie microbiche, e, soprattutto la loro composizione, possano influire sulla nostra vita provocandoci voglie di determinati alimenti di come agiscono su determinati nutrienti. Ci vengono presentati per nome e cognome insieme ai loro “colleghi” che invece sono dannosi.

Molto interessante è l’analisi di come il processo digestivo, a seconda di ciò che viene ingerito, influisca sulla secrezione di ormoni come la serotonina, andando quindi ad influire sul nostro umore.

Il libro è scritto in un linguaggio che trova il giusto equilibrio tra tecnicismi e colloquialismi, rendendo una materia molto complessa alla portata di tutti. Il tutto condito dalle illustrazioni di Jill Enders, sorella della scrittrice, che lavora come illustratrice per la divulgazione scientifica (penso che sia uno dei lavori più belli del mondo di cui ignoravo l’esistenza).

Dalla scrittura è evidente la passione che la Enders nutre per i suoi studi, anzi, a leggere le sue parole viene fuori un vero e proprio affetto per la materia.

Impressioni Personali

Scrivere di scienza è relativamente facile per chi ci lavora, rendere ciò che si è steso accessibile ad un vasto pubblico invece è estremamente complicato e richiede delle abilità comunicative che spesso, chi è abituato a scrivere da accademico per accademici, si perde.

Uno dei maggiori problemi della divulgazione scientifica per i “non addetti ai lavori” sta proprio nella comunicazione. Questo libro è l’esempio perfetto di come fare informazione scientifica per chi in materia non è ferrato.

Si tratta di un testo adatto a tutti. La Enders scrive dell’Helicobacter come se fosse un conoscente di vecchia data e ciò rende coinvolgente una materia altrimenti potenzialmente pallosa.

Quindi, se non lo avete ancora fatto, vi consiglio di recuperarlo.

Fonti

“Unnatural Causes” di Richard Shepherd

Buongiorno a tutt*!

Oggi volevo parlarvi di un libro true crime un po’ particolare che ho letto lo scorso anno.

Si tratta di “Unnatural Causes”, edito dalla Penguin. Lo potete reperire su Amazon. (da cui ho preso l’immagine di copertina). Io l’ho letto in inglese ma è disponibile anche in italiano edito da Loganesi.

Trama

Il motivo per cui ho definito questo true crime “particolare” sta nell’oggetto dell’autobriografia. Questa volta non abbiamo davanti un assassino seriale, un malavitoso o il/la consorte di uno di essi. Shepherd è un medico legale britannico che ha deciso ad un certo punto della sua vita di intraprendere la carriera forsense.

Nel libro Shepherd racconta di come, già da bambino, ha iniziato a sviluppare una grande passione per la medicina legale, tanto che da giovanissimo si era dilettato a leggere più e più volte un manuale di sull’argomento che mal si adatta ad un ragazzino tanto piccolo.

Dopo aver perso la madre, morta di cancro quando ancora era un ragazzino, Shepherd ha iniziato ad interessarsi alla medicina. Inizialmente voleva diventare un medico tradizionale per riuscire in un qualche modo a ritardare l’inevitabile evento. Tuttavia, più procedeva, più sentiva che quella non era la sua strada. Conoscendo bene il dolore che si prova a perdere una persona cara con tutte le conseguenze che questo comporta e allo stesso tempo sapere che si tratta comunque di un destino inevitabile, a lui interessava di più dare un senso a quelle sparizioni: capire da cosa erano causate e dare una sorta di giustizia ai defunti. Proprio per questo ha deciso di intraprendere la carriera forense, mestiere che più di tutti poteva soddisfare questa sua voglia di giustizia.

Nel libro, Shepherd inserisce qualche nozione, facendo talvolta il confronto con quanto viene riportato nei media che trattano dell’argomento, spiega bene anche tutte le incertezze e come queste possano venire talvolta utilizzate da difesa e accusa all’occorrenza.

Ovviamente, questa professione ha portato per lui un grosso stress psicologico, tanto da sviluppare un disturbo post-traumatico da stress. Quando racconta del suo primo caso, dove era stato chiamato a fare le rilevazioni su un’esplosione, dice di aver sognato quelle vittime per giorni, di essersi sentito male anche fisicamente.

Tra i vari casi che gli sono stati sottoposti, c’è stato anche quello del serial killer britannico Harold Shipman, un medico che uccideva le sue vittime anziane e che ai tempi aveva assistito anche dei conoscenti prossimi a Shepherd. Ciò ha avuto un impatto non indifferente sulla psiche già provata del medico legale che alla fine ha deciso di ritirarsi dopo un caso particolarmente difficile che è stata semplicemente la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Impressioni personali

Per uno che ama libri scientifici e true crime come me, questa è letteralmente una perla.

Nel libro, Shepherd sviscera minuziosamente ogni aspetto di un mestiere tanto appassionante quanto struggente.

Personalmente, sono rimasto colpito dalla sensibilità e dalla fragilità di quest’uomo: sia all’interno dei racconti fittizi (che sappiamo distorcere un po’ la realtà per esigenze di trama) che all’interno dei true crime stessi vengono spese poche parole risicate sugli effetti che queste vicende hanno su chi vi è a contatto ogni giorno.

Ogni caso che viene seguito ha lasciato dei segni indelebili nella vita di quest’uomo, portandolo a soffrire profondamente. Per me, questo è un libro che rappresenta in pieno la fragilità umana. Devo ammettere di essermi più volte commosso leggendo le vicende riportate. Troppo spesso, infatti, la fiction ci ha abituati al medico legale come ad una figura impassibile davanti alla morte che apre cadaveri con la stessa sensibilità con cui noi apriamo delle noccioline. Spesso, quando in un crime show qualcuno vomita alla vista di un cadavere viene visto come un novellino o uno che ha sbagliato lavoro e questo tratto viene considerato degno di derisione. Shepherd ci insegna che si può essere medici legali di successo anche se si rimane impressionati davanti alla morte e che, fare il callo per certe situazioni è veramente difficile.

Altra cosa che ho trovato estremamente interessante, anche se poco collegata al libro in sé, è stata la parte dedicata all’infanzia. Il Dottor Shepherd infatti, ha avuto una vita giovanile molto simile a quella del serial killer Jeffrey Dahmer con risultati totalmente opposti. Ciò dimostra quanto l’empatia sia importante. Come Shepherd, anche Dahmer era affascinato dall’anatomia umana, tuttavia, la sua assenza totale di empatia lo ha portato ad uccidere in maniera brutale dei ragazzi molto giovani. Dall’altro lato, invece, abbiamo Shepherd che di empatia ne ha anche troppa e che, nonostante sia stato sottoposto alla vista di cadaveri uccisi brutalmente, sotto, sotto, non ci ha mai fatto l’abitudine.

Si tratta di un libro veramente interessante anche per via dei numerosi insights che dà sulla professione in sé. Un testo molto educativo a mio parere che consiglierei caldamente anche a chi di solito non legge questo tipo di libri.